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sabato 20 marzo 2010

Intervista a Lucio Parrillo

Puoi raccontarci brevemente come sei diventato illustratore e fumettista per il mercato americano? In quali elementi il lavoro ai due lati dell'oceano è diverso?

Ho iniziato goccia a goccia tanti anni fa. Ho fatto il mio primo viaggio a New York a 23 anni, avevo i soldi contati: i risparmi che avevo messo da parte con i vari lavori fatti in Italia. Non sono sempre stato un fumettista, diciamo che ho saputo arrangiarmi, tra le varie cose ho fatto tattoo all'Hennè nei locali notturni, body painting, volantinaggio sui treni. Ho lavorato anche a scenografie per film e telenovela, che detto cosi sempra fico, ma in realtà facevo l'imbianchino sulle impalcature in una finta piazza, dipingendo finti marmi su finte facciate di un finto palazzo... dove gente finta recitava. Il fatto è che la pioggia era vera, il freddo anche: era inverno. E poi stare al terzo piano di un palazzo a spennellare non era certo così appagante. Dato che le case editrici italiane in quel periodo erano davvero "stitiche" lavoravo poco ed ero pagato malissimo, ho deciso di investire le quattro lire messe da parte in un viaggio oltreoceano. Beh... ha funzionato! Anche se con grosse difficoltà, perché anche lì era dura, specie se non parlavi bene inglese. Mi sono fatto notare da varie case editrici indipendenti con cui ho cominciato a lavorare, e poi pian piano, reinvestendo i soldi messi da parte in altri viaggi alle varie fiere americane, ho iniziato a fare breccia nel muro dei grandi imperi editoriali. Non c'era Internet, o meglio c'era ma non lo usava nessuno... e le porte in faccia che ho preso sono state davvero tante! Oggi è tutto troppo facile, tutto si sta globalizzando anche in questo campo e non ci sono grosse distinzioni tra qui e l'altra parte dell'oceano. Forse a dirla tutta di là girano piu' soldi e gli editori hanno più coraggio ad investire su autori e talenti nuovi, cosa che qui non fa quasi nessuno. E da noi manca il gusto del "collezionare": la maggior parte dei lettori legge i fumetti e li abbandona in giro, magari sul treno, o in bagno, senza capire che si tratta di opere d'arte, e che dietro c'è un artista che ha speso tempo e creatività per realizzare gli originali. Possono essere dipinti oppure inchiostrati, non importa la tecnica, restano opere d'arte e per quanto mi riguarda valgono molto di più di tanti quadri moderni, quelli che sembrano tavolozze sporche e che purtroppo si trovano nei musei (mentre quelli sì che dovrebbero stare nei bagni delle stazioni!). Come ti sei rapportato a personaggi già celebri come Red Sonja, Hulk e tutti gli altri? Hai potuto metterci "del tuo" in qualche modo o eri molto imbrigliato? Con Red Sonja mi hanno dato molto spazio e molta libertà. Ancora adesso realizzo le cover senza nessuna indicazione, mi danno al massimo una bozza dello script. Faccio tutto di testa mia e sono sempre contenti del risultato. Mi trovo bene anche su Hulk e le altre storie supereroistiche, certo in alcuni casi magari non ho potuto dare sfogo totalmente alla mia creatività perché ci sono delle strutture e dei canoni che giustamente vanno rispettati, ma è stato e continua a essere un enorme piacere disegnare e dipingere personaggi come Hulk, Iron Man, Thor. Sono davvero divertenti da realizzare e le storie sono sempre d'azione, amo sopra ogni altra cosa dipingere gente in movimento, effetti speciali, scazzottate e battagli... e magari belle gnocche! Quanto peso ha il colore in un tuo lavoro? Pensi che un uso abile del colore possa cambiare radicalmente l'effetto di un'illustrazione? Il colore è fondamentale. Premetto che sono un grande appassionato di arte a 360 gradi, quindi non prediligo un genere in particolare: nel mio caso mi sono dedicato alla tecnica pittorica perché mi aiuta a far diventare tridimensionali i miei personaggi, ma apprezzo moltissimo autori che usando altre tecniche riescono a tirare fuori cose eccezionali. Credo che il colore in genere dia quel qualcosa in più ad un disegno. Ormai non riesco più a lasciare in bianco e nero i miei lavori, mi sembrerebbero spenti. Certo ammiro molto chi lavora in bianco e nero e con pochi segni e linee nette riesce a ottenere risultati grandiosi, ma nel mio caso preferisco vedere lo spessore delle pennellate sulla tela e quelle macchie di colore date a un corpo che, quasi in modo scultoreo, vengono fuori dal dipinto creado volume. Rimango ancora incantato quando vedo dal vivo un Caravaggio, o un Ciseri... al punto da stare ore ed ore a scansionare ogni centimetro quadrato della tela per capire come ottenevano quei passaggi e quelle pennellate. La prima volta che ho visto "Il martirio dei Maccabei" di Antonio Ciseri nella Chiesa di Santa Felicita a Firenze sono rimasto scioccato al punto che mi sedevo lì davanti tre ore al giorno per una settimana e mi dovevano cacciare dalla chiesa all'ora di chiusura! Ancora adesso ci vado quasi ogni settimana a riguardarmelo: è uno dei capolavori dell'arte mondiale, più bello di tutti i tempi, e la cosa che mi fa rabbia è che non lo conosce nessuno, e nessuno mai me lo ha mai fatto studiare quando andavo a scuola o all'accademia di belle arti... è vergognoso!